Conosciuto come il fondatore della catena di negozi Habitat, The Conran Shop e del Design Museum di Londra, ancor più che un designer Terence Conran (1931-2020) è stato un fenomeno culturale. Pioniere del concetto di "democratizzazione" del design, vogliamo ricordarlo in una delle situazioni che più amava e cioè a Burton Court, la sua casa nel Berkshire, immersa nella campagna a ovest di Londra: una matita HB in una mano, l'immancabile sigaro nell'altra, intento a progettare sprofondato nella sua sedia preferita, la Karuselli, un'icona della Space Age in pelle marrone e fibra di vetro bianca, disegnata nel 1964 dal designer finlandese Yrjö Kukkapuro.
«Il lavoro del designer è immaginare il mondo non com'è, ma come dovrebbe essere», soleva ripetere Conran, che aveva applicato un rialzo alla Karuselli per renderla più confacente ai suoi problemi alla schiena: un gesto simile ai tanti accorgimenti che Conran, scomparso lo scorso settembre all'età di 88 anni, adoperava nelle sue creazioni per migliorare, attraverso la progettazione di mobili e oggetti funzionali ma sempre eleganti, unpretentious, la qualità della vita quotidiana. Rivoluzionaria per l'Inghilterra fu la sua realizzazione di mobili in kit montabili e facili da spedire, una qualità di ispirazione scandinava che contraddistingueva già le sue primissime produzioni, risalenti agli anni '50 e al periodo del primo studio di Conran a Notting Hill.
Insieme alla progettazione, l'altra passione che accompagnò lo per tutta la vita fu quella per il buon cibo, che lo portò a voler essere anche un ristoratore e di conseguenza, un imprenditore su più versanti. «Cos’è in fondo la vita? Buona cucina, buoni vini, buoni sigari e divani comodi. Sono molto orgoglioso che in tutto questo ci sia anche la mia firma», disse una volta il designer, che nel 1971 apriva il suo famosissimo Neal Street Restaurant nel cuore di Covent Garden, con un menù disegnato da David Hockney e il caffè servito dalle primissime macchine da espresso.
L’intuizione imprenditoriale di Conran, con la conseguente capacità di creare l'idea di uno stile di vita, un gusto globale in cui il meglio del design, del cibo e dell'arte si mischiassero creando atmosfere accoglienti, cavalcava lo spirito dell'Inghilterra post bellica, con la sua ripresa economica e le nuove abitudini di consumo che entravano nelle case degli inglesi. Nel 1964 Habitat, il primo concept store inglese dedicato al mondo della casa, apriva a Londra a Chelsea sulla Fulham Road, promuovendo non soltanto i mobili firmati da Conran, ma distribuendo gli arredi dei marchi di design più rinomati. Erano gli anni della Swinging London, delle minigonne di Mary Quaint, e i mobili di Habitat riflettevano uno spirito rilassato e informale contribuendo al formarsi del concetto di lifestyle e del gusto per l’eclettismo nel décor.
Habitat fu seguito nel 1973 dal "fratello" The Conran Shop, che dal 1987 lo ha totalmente inglobato collocandosi dov’è tuttora, nell’edificio Michelin (Bibendum), all'angolo tra Fulham Road e Sloane Avenue. Con sedi in tutto il mondo, da Parigi alla Cina, oggi The Conran Shop continua a collaborare con i marchi di design più prestigiosi come Knoll, Vitra e Fritz Hansen, dando vita a edizioni limitate di mobili e continuando a portare in scena le riedizioni dei pezzi iconici che hanno costituito i suoi cavalli di battaglia.
Sfogliando le pagine del famoso The House Book del 1974, uno dei tanti libri sull’arredamento scritti dal Terence Conran (ebbene sì, era anche un autore prolifico!), abbiamo estrapolato i nostri favourites tra i pezzi vintage creati per Habitat — il portatovaglioli Concorde per la tavola da pranzo, la sedia in vimini Cone per la sala o il giardino, la lampada Maclamp per illuminare la scrivania, le librerie modulari per lo studio e i divani in teak — insieme a qualche consiglio su come ripensare il décor: «Svuotate la sala» scriveva il designer; «mentre è vuota, considerate la qualità della luce e come migliorarla. Poi riportate nella stanza solo i mobili che amate veramente, o le cose davvero pratiche» E ancora: «Se c'è una cosa che le nostre case dovrebbero trasmettere, è il senso di chi siamo, e di come siamo arrivati fino a qui: un senso di connessione, bilanciato da un senso di direzione e progresso».