"La macchina da scrivere spesso canta canzoni che curano la tristezza del cuore. È miracoloso."
Charles Bukowski
Non si può pensare a uno scrittore senza la sua macchina da scrivere: dalla Hammond di Lewis Carroll alla Underwood di Virginia Woolf, dalla Remington di Matilde Serao all'Olympia SM-3 deluxe di Woody Allen.
Anche sul grande e piccolo schermo troviamo numerose macchine che sono parte del personaggio a tutti gli effetti: dalla dolce Jessica Fletcher de La Signora in Giallo all'inquietante Jack Torrence nel film Shining, dal tormentato Christian di Moulin Rouge allo scrittore Paul Sheldon in Misery non deve morire.
Nata sul finire del XIX secolo, è stata uno dei primi dispositivi di largo utilizzo per la rapida redazione di documenti in formati standardizzati. Il suo utilizzo fece nascere una nuova professione, la dattilografia, inizialmente riservata alle donne. Scopriamo le sue origini.
Nel 1802 a Fivizzano, in Toscana, Agostino Fantoni inventò un primo, rudimentale strumento di scrittura, molto simile nel modo di stampare di una moderna macchina per scrivere. Con l’invenzione di questo strumento, inoltre, si registra anche il primo utilizzo della carta carbone: una carta rivestita su un lato da uno strato di inchiostro asciutto, di solito unito a della cera, che era utilizzata per creare una o più copie di un documento durante la scrittura dello stesso.
Sono diversi gli inventori ai quali la macchina per scrivere è stata attribuita, spesso di diversa nazionalità, ma sicuramente il vero antenato della macchina da scrivere è il tacheografo, creato dall’inventore italiano Pietro Conti. Lo strumento di Conti è stato il modello al quale poi Giuseppe Ravizza fece riferimento per la realizzazione del suo prototipo, il cembalo scrivano: nato in origine come strumento di aiuto agli ipovedenti e che diventerà poi la macchina di scrittura più completa fino alla comparsa della Remington Mod. 1 del 1873.
Quest’ultima, nata con il nome di macchina da scrivere Sholes and Glidden è stata la prima macchina per scrivere di successo commerciale: il modello prese il nome dall'inventore statunitense Christopher Sholes e del meccanico dilettante Carlos Glidden, i quali la realizzarono nel 1867. Dopo alcuni tentativi di produzione in serie falliti, il brevetto della macchina venne rilevato nel 1873 dalla E. Remington and Sons, industria inizialmente bellica, e raggiunse la commercializzazione con una produzione di oltre mille esemplari a partire dal 1874, per poi ampliare sempre di più la produzione, arrivando a vendere milioni di pezzi in tutto il mondo, inaugurando l’epopea della produzione industriale e della diffusione via via sempre più capillare.
Fin dai primi modelli di macchine l'importanza degli standard di posizionamento dei tasti (per esempio: QWERTY, QWERTZ, QZERTY, AZERTY, CHWERTY) fu sempre fondamentale per dattilografare a memoria: ossia senza doversi sforzare spesso per distinguere i tasti, e in secondo luogo per facilitare l'alternarsi ergonomico di mano destra e mano sinistra. Così nacque una tastiera con un ordine delle lettere non molto diverso da quello arrivato fino a noi nelle tastiere dei computer.
La produzione della Remington fu lo scenario che incontrò in America Camillo Olivetti nel 1893, quando al seguito del suo insegnante Galileo Ferraris partecipa a Chicago alla prima dimostrazione di illuminazione pubblica, ad opera di Thomas Alva Edison. Conquistato dalle nuove invenzioni, Olivetti rimase due anni nel reparto di ingegneria elettrica dell’Università di Stanford, portando al suo rientro in Italia la produzione di strumenti di misura e poi di macchine da scrivere. La prima Olivetti venne così presentata all’Esposizione universale di Torino, nel 1911.
Negli anni ‘50 Olivetti lancia il modello Lettera 22, disegnata da Marcello Nizzoli, che diventa all'istante uno status symbol per generazioni di giornalisti e scrittori, oltre che vincitrice del Compasso d’Oro nel 1954. La Lettera 22 faceva uso di un sistema di scrittura a pressione: ogni tasto infatti faceva leva, infatti, su un martelletto che batteva sul nastro inchiostrato stampando sul foglio la lettera corrispondente che era impressa a rilievo sul martelletto. Il processo di battitura meccanico utilizzato dalla Lettera 22 era affidabile, preciso e molto rapido. “Con le vocali e le consonanti si fanno le parole, con le parole si fanno i pensieri, coi pensieri si pensano le lettere, con la Lettera 22 si scrivono”: recitava così un famoso claim pubblicitario.
Altra macchina cult prodotta da Olivetti è la famosa Valentine del 1969 disegnata dal designer Ettore Sottsass: la sua caratteristica principale, ripresa molto chiaramente anche dalla campagna pubblicitaria, è la trasportabilità della macchina che, a differenza delle precedenti, non aveva una valigetta esterna in cui chiuderla, ma era essa stessa la valigetta! La parte posteriore della macchina è stata progettata, infatti, come "chiusura" della valigetta, comprensiva della maniglia, mentre l'unica parte esterna è un guscio-scatola, in ABS, capace di proteggerla da qualsiasi colpo e ben fissato alla macchina grazie a due sicure di gomma laterali.
La macchina da scrivere (o per scrivere che dir si voglia) rimane una pietra miliare nella storia della tecnologia della scrittura, uno strumento da cui molti scrittori e giornalisti non si separavano mai e dunque anche legata alla storia della letteratura e del giornalismo; un oggetto sì funzionale e oggi anche decorativo, che mantiene il suo fascino nel corso del tempo.