Ogni mattina inizia con un buon caffè. Per gli italiani è parte della propria identità popolare da cui è difficile scostarsi e per cui andare estremamente orgogliosi. La preparazione di questa bevanda ha da sempre il fascino di un antico rituale, dove ogni gesto è studiato ed eseguito con precisione. Scopriamo chi ringraziare per questo straordinario oggetto, perfetto nella sua semplicità.
Un giorno l'imprenditore siderurgico Alfonso Bialetti, guardando fuori dalla finestra, vede la moglie che lava i panni nella lisciveuse, l’antenata della moderna lavatrice: una pentola molto grande dotata di un tubo e di una parte superiore forata in cui veniva messo il bucato, insieme al detersivo di allora, la liscivia. Il funzionamento di questo macchinario è abbastanza semplice: l’acqua raggiunge il bollore, risale il tubo, e ridiscende poi sul bucato insieme al detersivo.
Alfonso ha un'officina per la lavorazione dell’alluminio a Crusinallo, un piccolo paese in Piemonte, e gli viene l’idea di sfruttare lo stesso principio per costruire una macchina per il caffè (preparato fino ad allora con la caffettiera napoletana, da ribaltare durante l’ebollizione). Il materiale prescelto per la realizzazione è l’alluminio, utilizzatissimo in Italia in quegli anni per il prezzo molto inferiore ad altri metalli come il ferro e più facilmente reperibile, nonché molto apprezzato dai futuristi: si tratta infatti di un metallo luccicante, resistente, leggero, incorruttibile e persino “veloce”, poiché utilizzato per la costruzione di quegli aerei tanto cari alle avanguardie di inizio secolo.
In fase di progettazione ogni scelta formale per questo oggetto non è casuale: dalla caldaia a sezione ottagonale progettata per avere una presa ottimale anche da bagnata o con uno strofinaccio, come fosse un bullone, alla valvola ispezionabile fino alla guarnizione per una chiusura facilitata. È il 1933, è nata Moka Express (detta anche solo Moka), con un nome così particolare proveniente dalla città di Mokha, nello Yemen, famosa per le produzioni di caffè a miscela arabica.
È però grazie al figlio Renato, subentrato in azienda nel 1946, che questo oggetto arriva alla produzione industriale, aprendo alla Moka le porte della storia. L’erede dell’azienda spinge la vendita a milioni di pezzi e fa di Moka un’icona universale, portandola persino in tivù con Carosello. La pubblicità diffonde il desiderio della caffettiera che fa “l’espresso come al bar” (lo slogan più diffuso) anche grazie al successo del testimonial degli spot promozionali: l’Omino con i baffi. Nato dalla matita di Paul Campani e doppiato, dopo un decennio, da Raffaele Pisu che ancora marchia i prodotti, il personaggio deve il suo aspetto proprio al figlio di Alfonso Bialetti: gli inconfondibili baffoni e un dito sempre alzato per ordinare un caffè rendono la caricatura immediatamente popolare e riconoscibile. All’inizio il personaggio illustrato delle puntate di Carosello era sempre lo stesso, senza modifiche particolari sul disegno. L’unica parte animata era la bocca, con l’inserimento delle lettere delle parole pronunciate in sovrimpressione. Questo sistema consentiva di risparmiare tempo e denaro.
La Moka di Bialetti, oggetto contemporaneo per quasi un secolo, ha riassunto i valori del made in Italy: spirito creativo, cultura della tavola e realizzazione figlia della tradizione artigiana. Esposto non solo nel museo della Triennale di Milano, ma anche al MOMA di New York, tale oggetto non ha subito operazioni di restyling sino al 2004, quando ha conosciuto modifiche marginali, alla forma del manico o alla finitura metallica, e sono state introdotte nuove colorazioni.
Nel 2013, alla Permanente di Milano, fu allestita un’esposizione che raccontava dell’invenzione geniale della Moka attraverso il punto di vista dell’ormai famosissimo Omino con i baffi. Un percorso volto a spiegare l’importanza della Moka come protagonista di un cambio nelle abitudini quotidiane degli italiani, e a raccontarne il rilievo nella storia del design italiano.