Chi ha detto che lo specchio serve “unicamente” per provare un abito, pettinarsi o truccarsi? Questo arredo è tante cose in più: una cornice, una forma originale, un tocco di stile che imprime carattere a un interno, oltre a fungere da strategica illusione ottica. In uno spazio ridotto, una superficie riflettente dona automaticamente maggior profondità, spazio e luce. Se poi si tratta di uno specchio vintage, si ha a che fare con un oggetto che racchiude in sé una storia, un silenzioso testimone dei luoghi, delle persone e delle stanze che la sua superficie ha riflesso nel tempo.
Di questo arredo, immancabile nello spazio abitativo contemporaneo, poniamo l’attenzione su tre tipologie precise: uno specchio sobrio ed essenziale che è la sintesi di forma e personalità, uno specchio vistoso e irriverente, e uno specchio che rappresenta la scelta colta di chi lo ha pensato per il proprio spazio.
Apparentemente semplice, essenziale e per questo assai riconoscibile (di conseguenza anche tra i più imitati) nella nostra hit parade non poteva mancare lo specchio Unghia, o Lipstick. Progettato originariamente dal designer milanese Rodolfo Bonetto (1929-1991) negli anni ’50, è rimasto in produzione fino alla fine degli anni ’70 in una vasta gamma di colorazioni. Oltre a essere iconica, la sua forma è anche ingegnosa, trattandosi di un cilindro dalla cui sommità parte un taglio trasversale che genera una sezione in cui è inserito lo specchio, una forma che ricorda appunto quella di un’unghia, o del rossetto, e che permette così di riflettere tutto il corpo in piedi.
La sobria eleganza unita alla dimensione relativamente ridotta (un diametro di 25 cm per un’altezza di 162 cm), lo rendono agevole da spostare e adatto a qualunque ambiente della casa, che lo si esponga in camera da letto o nella zona living, ma anche in aree di passaggio come un corridoio, o in parti della casa più raccolte, come un bagno o la cabina armadio.
Piccola curiosità per collezionisti che cercano una variante sul tema: Lipstick ha riscosso negli anni talmente successo che ne è stata prodotta una (molto più rara) versione lampada da terra. Quasi identica all’originale, questa versione contiene una fonte luminosa all’interno che emana luce attraverso il pvc traslucido della struttura, effetto che trasporta l’oggetto in una dimensione pop e Space Age tipicamente anni ’60.
Spostiamo l’attenzione sullo specchio tornato più di moda in assoluto negli ultimi 10 anni, un periodo in cui il suo autore si è riconfermato ai primi posti dei designer italiani più richiesti, seguiti e collezionati del mondo, insieme a Carlo Mollino e Gio Ponti. Parliamo naturalmente di Ettore Sottsass (1917 – 2007) e del suo (definirlo iconico sarebbe riduttivo) specchio-lampada Ultrafragola, progettato per Poltronova nel 1970, azienda di cui Sottsass è anche stato art director. I ’70 sono anni clou per il designer, quelli in cui egli intende il progetto come uno strumento di critica sociale, che lo porterà ad affermare che «il design è un modo di discutere la vita. È un modo di discutere la società, la politica, l'erotismo, il cibo e persino il design». Oggi, per comprendere in maniera tangibile la rinnovata popolarità di Ultrafragola basta pensare che è lo specchio più scelto dagli influencer per scattare i selfies, oltre a comparire — passando difficilmente inosservato — in campagne pubblicitarie, set di film, servizi fotografici, fumetti. Segni particolari: la sua forma sinuosa, che sembra disegnata da una mano che ha voluto tracciare, stilizzandola, una chioma di capelli che diventa il bordo illuminato in rosa (a led o al neon), dello specchio.
A Milano, perdendosi tra i pezzi della collezione permanente della Triennale, ci si imbatte inevitabilmente in un esemplare di Ultrafragola (quello della fotografia), oggetto eternamente sospeso tra opera d’arte e arredo — e che solitamente divide il pubblico: lo si ama o lo si odia, come un po' accade con tutte le cose estrose, lampanti, diverse, che obbligano a prendere posizione perché non possono lasciare indifferenti, in quanto smuoveranno sempre una reazione nell’osservatore. A Ultrafragola, che nell’arredo coniuga la tripla funzione di lampada, specchio e opera d’arte pop, è anche dedicata una monografia edita dal Centro Studi Poltronova per il Design.
Il terzo specchio che prendiamo in considerazione appartiene agli anni ’50, ed è il modello 1669 firmato dal designer francese Max Ingrand (1908 – 1969) per Fontana Arte. Ci piace riaccendere i riflettori su questo oggetto per due motivi: da un lato per il suo stile contemporaneo, quasi evocativo di un pianeta spaziale, sensazione data dalla sovrapposizione di due forme tonde di diversa dimensione (la superficie riflettente e la cornice in vetro colorato curvato e molato). Dall’altro perché in questo specchio, come del resto in tutti gli esemplari proposti da Ingrand, l’aspetto prezioso nasce dal design che sposa la lavorazione del vetro, fiore all’occhiello di Fontana Arte, azienda nota per la lavorazione del cristallo curvato e per la produzione di apparati per l'illuminazione. Raffinato maestro del vetro (i suoi primi lavori sono il restauro e la creazione di vetrate suggestive che illuminano importanti chiese francesi), Max Ingrand ha assunto la direzione artistica di Fontana Arte dal '54 per dieci anni. Il designer, certamente molto noto su scala globale, resta in alcuni contesti ancora meno conosciuto ai più: immaginare un suo specchio per arredare uno spazio rappresenta una scelta d’effetto, e al contempo ricercata, meditata.