La storia dello specchio potrebbe cominciare dalla prima volta in cui l’uomo si è trovato davanti alla sua immagine riflessa. Probabilmente siamo in età preistorica, sporgendosi oltre il bordo scopre che c’è un altro che lo guarda dall’acqua! Probabilmente un antenato del celebre Narciso. Lo specchio è un elemento riscontrabile nella storia dell’arte di tutti i tempi: gli artisti desiderano catturare riflessi deformati, creare giochi di volume attraverso le varie posizioni degli specchi in un’opera oppure preferiscono comunicare rimandi simbolici legati all’oggetto stesso. Venere per prima ci viene spesso rappresentata nella storia con uno specchio in mano, simbolo di vanità, femminilità, sessualità e vita; talmente radicato da diventare rappresentazione per eccellenza della donna e del genere femminile.
È interessante notare che in numerosi dipinti Venere guarda compiaciuta lo spettatore attraverso il suo riflesso nello specchio, così facendo è possibile notare che non sta rimirando se stessa , come si può presupporre, ma coinvolge direttamente il pubblico all’interno del dipinto. Questo gioco di riflessi, conosciuto proprio come effetto-Venere, è uno dei tanti fenomeni “illusionistici” legati al mondo degli specchi. Un trucco ottico, se vogliamo, ma di grande suggestione. Numerosissimi sono i casi in cui anche l’artista cerca il suo spazio nella propria opera: gli specchi in questo rappresentano stratagemmi geniali. Sulle loro superfici si possono spesso intravedere volti, dettagli dell’autore proprio per rendersi parte delle scene e delle realtà ritratte: una sorta di “trovata pubblicitaria” per non passare inosservato.
Uno degli artisti che riesce perfettamente a rendere la realtà proiettata in uno specchio convesso è Jan Van Eyck, nel suo Ritratto dei coniugi Arnolfini del 1434: la coppia di mercanti protagonista del quadro, infatti, non è sola nella stanza. Grazie all’espediente geniale dello specchio alle loro spalle scopriamo la presenza del pittore stesso, che difatti si firmò asserendo di “essere stato lì”. Tale stratagemma coinvolge l’osservatore nell’evento che si sta svolgendo, attraverso una finzione illusoria ma del tutto verosimile.
Nella grande tela del 1656 Las Meninas le protagoniste di questo dipinto sembrano essere le giovani fanciulle, ma nella composizione vediamo anche il pittore con tanto di pennello e tavolozza. Velazquez sembra guardare verso di noi: grazie allo specchio, però, scopriamo che ci sono due personaggi al di là della tela che il pittore sta ritraendo. Si tratta dei reali Filippo IV e la moglie Marianna; la loro figlia, l’infanta Margherita, si trova davanti a loro, al centro e attira l’attenzione per il suo ricco abito. Nel 1882 nel quadro Il bar de le Folies Bergère Manet sceglie di raffigurare un’ambientazione tipicamente parigina: un cafè chantant, un bar in cui ci si esibiva in danze, canzoni e spettacoli. Nessuno di questi elementi però ci appare in primo piano. Sono tutti minuziosamente ritratti nello specchio alle spalle della vera protagonista dell’ opera: una comune e malinconica cameriera, totalmente estraniata dal caos del locale. Avete mai notato che negli autoritratti la posa adottata dagli artisti è sempre la stessa? Non è di certo un caso: è dovuta alla postura tenuta durante la realizzazione dell’opera. Infatti per poter cogliere i dettagli del proprio volto il pittore teneva con una mano il pennello per dipingere mentre nell’altra uno specchio. Il risultato è uno sguardo verso lo spettatore di tre quarti.
Se nel passato lo specchio è sempre stato sinonimo di fedele rappresentazione della verità e della reale forma del mondo intorno a noi, facendo un balzo in avanti nei primi decenni del ‘900 ci pensa il movimento del Surrealismo a far crollare ogni certezza. Nel 1937 Magritte dipinge La riproduzione vietata una contraddizione che crea non poche discussioni: l’artista rappresenta un uomo di spalle con una giacca scura che sta in posizione rigida davanti a uno specchio; in questo caso però il riflesso non mostra il suo volto, ma riproduce nuovamente la schiena. L’unica differenza è che la figura riflessa è leggermente più piccola. Lo specchio si trova sopra una mensola di marmo dove è poggiato un libro, precisamente Le avventure di Gordon Pym di Edgar Allan Poe, che si riflette correttamente. La realtà è in parte rappresentata in maniera precisa, ad esempio notiamo l’attenzione nel dipingere i riflessi nei capelli o le venature del marmo, ma allo stesso tempo coesiste qualcosa di surreale, assurdo: un riflesso che non può esistere nella realtà dimostrando come l’immagine della realtà non è sempre veritiera.
Lo stesso gioco di immedesimazione e alterazione è largamente utilizzato anche in fotografia, in cui spesso lo specchio sono sfruttati nelle scenografie teatrali e a scopo commerciale, nonchè in allestimenti museali e culturali per proporre, in modi studiati, percezioni diverse delle singole opere d’arte al fine di farne carpire al meglio dettagli o prospettive differenti.
Molti gli artisti contemporanei si sono cimentati nel tema della riflessione talvolta in una chiave sociale e collettiva. Si pensi a Michelangelo Pistoletto e ai Quadri Specchianti o ancora ad Anish Kapoor o Giuseppe Penone. Proprio quest'ultimo nel suo lavoro Rovesciare i propri occhi, riflette sulla dinamica della dilatazione dello spazio e della sua interiorità: Penone decide di indossare delle lenti che lo rendono cieco mentre il fruitore vede in esse il riflesso dello spazio che circonda l’artista.
Proprio grazie al loro fascino misterioso, quasi magico, gli specchi sono oggetti molto utilizzati anche nelle nostre abitazioni private: ci garantiscono una percezione più ampia degli spazi se sapientemente posizionati, aumentano la diffusione della luce ed ultimo, non per importanza, ci rassicurano sul nostro aspetto in ordine prima di uscire di casa.